Bonus bebè INPS anche agli stranieri privi di permesso UE

La Corte di Giustizia dell’UE ha dichiarato illegittima l’esclusione dei cittadini stranieri senza permesso UE, dal bonus bebè erogato dall’INPS.

Il bonus bebè, noto anche come assegno di natalità, è un sostegno mensile destinato alle famiglie per ogni figlio nato, adottato o in affido preadottivo.

Istituito dall’articolo 1, commi 125-129, legge 23 dicembre 2014 n. 190 (legge di stabilità 2015), il bonus bebè viene corrisposto ogni mese fino al compimento del primo anno di età o del primo anno di ingresso nel nucleo familiare a seguito di adozione o affidamento preadottivo.

Il comma 125 della legge 190/2014, stabilisce che al fine di incentivare la natalità e contribuire alle spese per il suo sostegno, viene riconosciuto un assegno erogato mensilmente a decorrere dal mese di nascita o adozione.
L’assegno non concorre alla formazione del reddito complessivo, ed è corrisposto fino al compimento del terzo anno di età ovvero del terzo anno di ingresso nel nucleo familiare a seguito dell’adozione.

Il bonus viene erogato per i figli di cittadini italiani o di uno Stato membro dell’Unione europea ovvero per i figli di cittadini extracomunitari con un permesso di soggiorno di cui all’articolo 9 del TUI, e cioè con un permesso di soggiorno UE di lungo periodo.

Ciò significa che tutti gli altri stranieri regolarmente soggiornanti sul territorio italiano, ma non in possesso del permesso UE, non avrebbero diritto ad accedere alla prestazione.

Tuttavia, secondo la Corte di Giustizia dell’UE, tale esclusione sarebbe in contrasto con l’art. 34 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione e con la direttiva 2011/98 che riconosce il diritto alla sicurezza sociale a tutti gli stranieri con un permesso di soggiorno, anche breve, purché consenta di lavorare.

L’art. 12 della direttiva 2011/98 prevede infatti che i cittadini stranieri debbano beneficiare dello stesso trattamento riservato ai cittadini dello Stato membro in cui soggiornano relativamente ai settori della sicurezza sociale di cui al regolamento CE 883/2004, tra cui rientrano le prestazioni familiari. Non a caso, lo Stato italiano ha recepito con il d.lgs n. 40/2014 la direttiva di cui sopra, non adeguandosi però al dettato di cui all’art. 12.
L’esclusione dall’assegno di natalità violerebbe quindi la parità di trattamento tra cittadini europei e cittadini di Paesi terzi, relativamente alle prestazioni familiari e di maternità, enunciata dalla direttiva n. 2011/98 UE.
Secondo la Corte l’assegno deve essere concesso automaticamente ai nuclei familiari che rispondono a determinati criteri oggettivi definiti ex lege, prescindendo da ogni valutazione individuale e discrezionale delle esigenze personali del richiedente.
Ed invero tutte le prestazioni di sicurezza sociale devono essere riconosciute solo sulla base di determinati criteri oggettivi, quali principalmente le dimensioni della famiglia e il reddito disponibile.
Medesima ratio può esplicarsi anche per l’assegno di maternità dei Comuni, nonché per tutti gli altri sussidi economici che circoscrivono l’erogazione dei relativi assegni ai soli titolari di permesso UE.
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