Ricevuta protezione speciale, si può lavorare?

Ricevuta della protezione speciale

Il Decreto Sicurezza, convertito in Legge n. 132/2018, ha abrogato il permesso di soggiorno per motivi umanitari. Il Decreto Lamorgese n. 130/2020, ha introdotto all’art. 19 TUI, la protezione speciale, la quale può essere riconosciuta solo se sussistono determinati presupposti.

L’art. 19, nella sua nuova formulazione, prevede due procedure per il riconoscimento della protezione speciale:

  1. quella per cui il riconoscimento proviene dalla Commissione Territoriale;
  2. quella attivata direttamente in Questura, con parere positivo al riconoscimento da parte della Commissione Territoriale.

Pertanto, tale protezione può richiedersi direttamente all’ufficio immigrazione della Questura territorialmente competente tramite apposita istanza, anche al di fuori della procedura prevista per il riconoscimento della protezione internazionale.

Formalizzata la richiesta, viene rilasciata la cosiddetta “striscetta”, la ricevuta della protezione speciale di presentazione dell’istanza e di avvio della pratica.

Ricevuta protezione speciale
Ricevuta protezione speciale

Tuttavia, la conclusione del procedimento ha tempi molto lunghi e ciò comporta varie conseguenze per il richiedente protezione speciale.

Più nello specifico, può accadere che – in attesa del rilascio del permesso di soggiorno – molti datori di lavoro non facciano lavorare l’interessato/a, ritenendo che con la sola ricevuta non si possa lavorare.

Non è semplice stabilire se, nelle more del procedimento, può applicarsi il diritto al lavoro per il richiedente protezione speciale.
Può applicarsi però per analogia la disposizione di cui all’art. 5, comma 9-bis dlgs 286/98, già applicato per il primo rilascio dei permessi per motivi di famiglia.

L’art. 5 comma 9-bis dispone infatti che “in attesa del rilascio o del rinnovo del permesso di soggiorno, anche ove non venga rispettato il termine di sessanta giorni di cui al precedente comma, il lavoratore straniero può legittimamente soggiornare nel territorio dello Stato e svolgere temporaneamente l’attività lavorativa fino ad eventuale comunicazione dell’Autorità di pubblica sicurezza, da notificare anche al datore di lavoro, con l’indicazione dell’esistenza dei motivi ostativi al rilascio o al rinnovo del permesso di soggiorno.
L’attività di lavoro di cui sopra può svolgersi alle seguenti condizioni:

  • che la richiesta del rilascio del permesso di soggiorno per motivi di lavoro sia stata effettuata dal lavoratore straniero all’atto della stipula del contratto di soggiorno, secondo le modalità previste nel regolamento d’attuazione, ovvero, nel caso di rinnovo, la richiesta sia stata presentata prima della scadenza del permesso, ai sensi del precedente comma 4, e dell’articolo 13 del decreto del Presidente della Repubblica del 31 agosto 1999, n. 394, o entro sessanta giorni dalla scadenza dello stesso;
  • che sia stata rilasciata dal competente ufficio la ricevuta attestante l’avvenuta presentazione della richiesta di rilascio o di rinnovo del permesso.”

Relativamente ai permessi per famiglia, la circolare del 7.5.2018 del Ministero dell’interno e del Ministero del lavoro riconosce l’“ammissibilità dello svolgimento di attività lavorativa nelle more del rilascio del permesso di soggiorno per motivi familiari”, in quanto quel titolo di soggiorno consente di per sé lo svolgimento di attività lavorativa senza necessità di conversione, per cui si applica analogicamente l’art. 5, co, 9-bis TUI.

Secondo i Ministeri, dunque, l’attività lavorativa può essere svolta con la semplice ricevuta della richiesta postale di rilascio del permesso di soggiorno.

La stessa ratio può applicarsi alla protezione speciale al fine di consentire, in attesa del primo rilascio del permesso, l’attività lavorativa perché questa è consentita espressamente per il permesso protezione speciale, dall’art. 32 comma 3 dlgs 25/2008, che del resto, ed è convertibile in lavoro secondo quanto disposto dall’art. 6 comma 1-bis lett. a) TUI.

Inoltre è interesse dello Stato favorire un’attività lavorativa regolare non in nero e che il soggetto quindi non pesi sul sistema assistenziale pubblico.

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